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venerdì 15 febbraio 2019

Tarantola - Recensione

 
   Title: Tarantula 
   Paese: USA
   Anno: 1955
   Durata: 81 minuti
   Regia: Jack Arnold
   Attori: John agar, Mara Corday,Leo G. Carroll, Ross Elliot, Nestor Paiva. 

  Niente di meglio delle desolati lande dell’Arizona se si sente il bisogno di ritagliarsi un po' di privacy. Un fatto che il professore Gerald Deemer (Leo G. Carroll) ha ben chiaro, istallando all'interno della sua villa un piccolo laboratorio segreto e stipandovi all'interno decine di gabbie contenenti criceti, piccoli ragni e… altri ragni decisamente meno piccoli. 
  Assistito da due collaboratori, il professor Deemer si dedica a delle sperimentazioni su una nuova sostanza dalle proprietà altamente nutrienti basata su un isotopo radioattivo, una ricerca portata avanti in previsione di una futura crisi alimentare dovuta alla crescita esponenziale della popolazione terrestre. I test sulle cavie portano fin da subito esiti positivi: gli animali infettati subiscono una crescita fisica abnorme. 


  In spregio a ogni etica lavorativa, il siero viene testato anche sui due collaboratori, i quali manifestano effetti collaterali decisamente poco gradevoli. La sostanza provoca loro spaventose e mortali deformazioni. Il primo dei due scienziati muore subito, lasciando un corpo rigonfio e irriconoscibile e attirando l’attenzione dell’ufficio dello sceriffo locale. Sfortunatamente, il secondo vivrà a sufficienza per tornare in cerca di vendetta, durante la quale il laboratorio verrà avvolto dalle fiamme.
  Distratti dalla colluttazione e dalle fiamme, nessuno dei due uomini scorge la Tarantola mutata, frutto della sperimentazione folle di Deemer, la quale, liberatasi dalla gabbia in cui era rinchiusa, sparisce nella notte.

 
  Nel frattempo, il dottor Matt Hastings (John Agar), chiamato a investigare dallo sceriffo locale sul corpo di un uomo completamente deformato trovato nei pressi di Desert Rock, stringe amicizia con l’affascinate Stephanie Clayton (Mara Corday), giunta in città per lavorare come nuova assistente del professor Deemer. Hasting l’avverte di non avvicinarsi troppo al professore, per il quale nutre dei sospetti, ma la Clayton ignora i suoi avvertimenti e raggiunge così la villa di Deemer.  
  Eventi più inquietanti, a intervalli sempre più ravvicinati, seguono la scoperta del cadavere del primo collaboratore di Deemer. Una striscia di morte viene tracciata nel deserto. La tarantola, crescendo costantemente in dimensioni e appetito, si fa strada divorando animali e persone, fino al punto in cui la sua stazza la obbliga a rivelarsi apertamente, divenendo una seria minaccia per l’intero stato.


  Esponente di rilievo di quella fantascienza anni Cinquanta, che faceva della presenza/minaccia di creature enormi o non umane, se non aliene, il motivo stesso della sua esistenza, Tarantola si ritaglia uno spazio fra i titoli forse meglio riusciti del suo tempo, rivelandosi un prodotto molto godibile oggi come settant'anni fa.
  Diretto da Jack Arnold, già regista de Il mostro della laguna nera, Radiazioni BX: distruzione uomo, e Destinazione... Terra!, il film preso per le sue componenti singole non presenta particolari vezzi creativi. I tòpoi del genere sono tutti presenti: abbiamo la comunità isolata, la radioattività come fonte di orrore, la scienza che travalica i suoi confini - sia nel bene che nel male - e causa distruzione e il manipolo di persone normali che si ritrovano, loro malgrado, a far fronte a una minaccia mortale.
  Fra i pregi del film, che riescono a elevarlo al di sopra di molti suoi coetanei, dobbiamo annoverare senza dubbio gli effetti speciali e la recitazione. 
  Partendo da quest'ultima, possiamo considerare come ottimamente riuscita la realizzazione dei tre personaggi principali. Il dottor Matt Hastings, interpretato da un buon Agar, si presenta come il medico della comunità, un personaggio simpatico e alla mano, con un piglio disinvolto quasi sfacciato, ma che rivela una forte tempra sia morale che fisica nel momento del bisogno. Qualcuno con cui avresti piacere a prenderti una birra al pub. 
  La cara Stephanie Clayton purtroppo, aldilà della buona prova dataci dalla bella Mara Corday, ci riporta subito con la mente negli anni Cinquanta, quando una donna, se prendeva parte a un film, era già tanto sperare di svolgere il ruolo di Damsel in Distress, utile come una gomma bucata in una situazione di pericolo. Presentata da subito come una donna brillante e intelligente, non ha molta scelta se quella di non soccombere al bel dottorino di turno.


  Leo G. Carroll ci tratteggia invece con ottima maestria la figura tragica del professor Deemer, un uomo devoto alla scienza e alla sua causa al punto tale da farsi distruggere da essa, senza rendersi conto dei danni che avrebbe potuto causare. Le passioni e attrazioni di questi tre personaggi s'intrecciano sullo schermo come un foglio di carta trasparente, dietro cui vediamo zampettare avanti e indietro la tarantola per buona parte del film. Questo fin quando la stessa non decide di essersi frantumata qualsivoglia equivalente testicolare degli aracnidi e spezza tutte le sottotrame presentate finora, irrompendo su schermo con tale ferocia da catalizzare tutta l'attenzione dell'atto finale della pellicola.
  La tarantola prende vita sullo schermo grazie alla tecnica della sovrapposizione d'immagini: non si tratta di un pupazzo mosso in stop-motion, ma di una tarantola in carne e ossa. Più di una tarantola, a onor del vero. Filmate tramite delle inquadrature ravvicinate e, quando necessario, spinte nella direzione voluta tramite alcuni getti d’aria. Le sequenze, girate con la telecamera vicina al soggetto, venivano poi sovrapposte ai vari campi lunghi creando l’illusione che la creatura si aggirasse davvero nascosta fra gli accumuli rocciosi del deserto. 


  La tecnica della sovrapposizione, nonostante gli ovvi limiti d'interazione fra la creatura e il circostante, sopratutto riguardo gli attori umani, consente di ottenere una resa decisamente realistica dell’aracnide. Solo la testa del ragno è stata realizzata da zero, e utilizzata in scene ravvicinate, nelle quali era necessaria un minimo di interazione uomo/mostro. Nonostante gli ovvi limiti dovuti all’età, a cui nessun film, dalla peggiore schifezza al capolavoro, può sottrarsi, la pellicola si lascia ancora vedere con un certo piacere.
  Jack Arnold confeziona in definitiva il film che rappresenterà un caposaldo del cinema sugli insetti giganti. Prima opera a portare sullo schermo gli animaletti a otto zampe, diventerà un precursore per i numerosi quanto qualitativamente altalenanti film sui ragni succedutesi nei decenni seguenti. 


  La linearità e l’essenzialità dell’opera sono perfette ai fini della trama, modellata su continue ondate di tensione, che aumentano a ogni apparizione dell’aracnide, e al suo progressivo aumento di massa. L’insetto verrà mostrato nella sua interezza fin da subito, sbattendosene della classica regola del “fa più paura ciò che non si vede”, senza perdere per questo la capacità d’impressionare lo spettatore. 
  Dopo la sua prima apparizione, per buona parte del film, si farà attendere come una diva capricciosa, facendoci sudare ogni sua comparsa. La tarantola terrà per buona parte del tempo le zampe lontane dalla telecamera, mostrando appena i segni del suo passaggio o facendosi scorgere in piccole dosi, da dietro una duna o di sfuggita in qualche escursione notturna. La tarantola di questo film è una creatura viva, che respira e pensa, il mostro si muove, osserva e attacca a seconda della situazione, non è una fredda macchina di morte, ma un semplice predatore affamato, la cui unica colpa è l'inesistenza di moscerini grossi quanto un furgoncino.


  Il suo ondeggiare da dietro le colline ha un che di ipnotico e di mistico, una pura forza della natura selvaggia, opprimente e nascosta dietro ogni duna, pronta ad attaccare l’uomo in ogni momento, e al tempo stesso incarna la minaccia del nucleare, della radioattività, quasi come una nube che sporge dall'orizzonte. A contribuire quest’aspetto così selvaggio abbiamo la natura aspra e cruda del deserto, un ambiente ostile all’uomo eppure dotato di un fascino che lo attrae inesorabilmente a sé, come un abisso senza fondo, supportato da una fotografia rispettabile capace di restituire lunghi scenari di ampio respiro.
  Come tante altre pellicole del genere, non si può distaccarne la storia dal messaggio ammonitore di fondo, comune a quegli anni tanto da diventare uno degli elementi caratterizzanti del genere. Deemer sarà vittima in prima persona di ciò che ha creato, poiché come i suoi assistenti prima, finirà vittima del siero. La sua mutazione, sia fisica che mentale, procederà di pari passo con quella della tarantola, come uno specchio riflesso degli effetti del siero. Da un lato la degradazione colma di fatalismo del professore, dall’altro l’orrore muto e silenzioso delle radiazioni, rappresentato dall’insetto, vero protagonista del film. 


  Un buon film, che forse oggi ha perso la sua carica orrorifica, e non può restituire certamente le impressioni di chi all'epoca lo vide su grande schermo, ma che ritengo abbia ancora qualcosa da dire, e, se non più nel messaggio, come semplice prodotto di intrattenimento, che non sfigurerebbe di certo in qualche rassegna cinematografica in prima serata sui mostri giganti.


Voto Film:
 
Voto Retrò:

 Trailer

TRIVIA
- Questo film rappresenta l'esordio cinematografico di Clint Eastwood, che qui compare come uno dei piloti della squadriglia di caccia.

- Il professor Deemer era preoccupato dall'ipotesi, scioccante per l'epoca, che entro l'anno duemila la popolazione terrestre sarebbe salita ad almeno 3 miliardi e 600 milioni di persone. Le stime a riguardo erano decisamente ottimistiche.