Title: The Ghost and the Darkness
Paese: Stati Uniti
Anno: 1996
Durata: 109 minuti
Regia: Stephen Hopkins
Attori Principali: Val Kilmer, Michael Douglas, John Kani,Tom Wilkinson, Om Puri, Brian McCardie...
La nostra storia si svolge alle avvisaglie del ventesimo secolo, nell’anno 1898. Le potenze Europee sono in lotta fra loro per affermare il predominio su ciò che resta dell’Africa. Sir Robert Beaumont (Tom Wilkinson) è il responsabile per conto delle autorità coloniali britanniche della costruzione dell'Uganda Railway, una ferrovia che avrebbe unito la città portuale di Mombasa, in Kenya, all'Uganda. Quest'ultimo incarica John Henry Patterson (Val Kilmer), ingegnere e progettista irlandese, di partire prima possibile per il continente nero dove dovrà collegare due tratti della ferrovia in espansione costruendo un ponte sul fiume Tsavo.
Beaumont rivela presto tutta la sua simpatia, con un discorsetto su come il suo unico piacere sia tormentare le persone che lavorano per lui, e sul fatto che distruggerà la carriera di Patterson senza difficoltà, se questi dovesse dargliene un qualsivoglia motivo. Cinque mesi. È questo il tempo massimo concesso a John da Beaumont per completare il ponte, tempo massimo per evitare che i loro concorrenti stranieri li superino.
"Questa, è una delle più incredibili avventure mai accadute in Africa, perché ciò che accadde a Tsavo, non era mai accaduto prima."
Alla stazione di Londra John si concede qualche istante per salutare la moglie, la quale è in attesa del loro primogenito che dovrebbe venire alla luce fra poco più di sei mesi. Un ultimo sguardo alla donna che ama e alla sua pancia, che ha già iniziato a gonfiarsi, lo spinge a dubitare della sua scelta, ma lei lo incoraggia; sa che l'Africa è sempre stata il sogno del marito e insiste affinché salga sul treno.
Sbarcato al porto di Mombasa Patterson viene intercettato dal reverendo Angus Starling (Brian McCardie), uomo di chiesa e assistente ai lavori di costruzione della ferrovia. Senza perdere tempo Angus lo scorta al loro treno, affermando di aver prenotato i posti migliori per godere del panorama. Migliori è un eufenismo: il regista ha praticamente saldato un sedile a doppio posto sul davanti della locomotiva, facendo viaggiare i due uomini come se il treno avesse impattato contro di loro, mentre erano comodamente seduti sulle rotaie, e li stesse spingendo via così da allora. Non ho idea se una cosa simile, al limite del folle, sia mai stata davvero realizzata, ma mentre osservavo la scena non riuscivo a non pensare a cose come "ma 'sto viaggio dura tutta una notte... e se si addormentano e scivolano davanti al treno? E se devono pisciare? E stanno un giorno intero seduti senza sgranchirsi le gambe?". Temo che i miei dubbi moriranno con me.
I posti "migliori" offrono ai due uomini una visuale ininterrotta a 270 gradi della savana, di cui il regista approfitta per mostrare qualche campo lungo, obbligatorio in un film sull'Africa, e a esibire la conoscenza enciclopedica di Patterson sulla fauna locale.
In cantiere John fa la conoscenza di Samuel (John Kani), nero del luogo incaricato di dirigere i lavori, l'unica persona, a dire di Starling, capace di far lavorare insieme le numerose etnie e razze che affollano il campo. Samuel scorta Patterson attraverso il cantiere fino al fiume su cui sorgerà il ponte, dove Patterson si lascia andare qualche minuto in contemplazione. All'ospedale i due fanno la conoscenza di David Hawthorne (Bernard Hill), medico del campo. Il Dottor Hawthorne, durante il giro visita delle tende che compongono la struttura ospedaliera, informa Patterson che quello stesso giorno uno dei suoi pazienti è stato aggredito da un mangiatore di uomini: l’uomo se l’è cavata con qualche poco, ma il suo asino ha avuto la peggio. Il dottore, dato quindi il suo personale benvenuto a Patterson, domanda cosa intende fare in merito.
Calate le tenebre Patterson e Starling conducono un asino fuori dal campo e lo legano a un palo sotto un albero (probabilmente avevano appena visto Jurassic Park in dvd) nella speranza di attirare il leone. Saliti quindi in cima all'albero, imbracciano i fucili e aspettano. Il leone si fa attendere, ma quando infine decide di scattare fuori dalla sterpaglia, John spara e (tutto culo, a mio parere), lo uccide con un sol colpo.
Samuel si assicura che tutti gli operai sappiano ciò che è avvenuto durante la notte, percorrendo il campo di lavoro al grido di "un solo colpo!" e fomentandoli per bene. Il giorno dopo ancora, sempre Samuel consegna a John una collana con gli artigli del leone ucciso, affermando che dovrà ricordargli sempre il coraggio.
I lavori di costruzione del ponte iniziano così senza intoppi, finché Mahina, il capocantiere, viene ritrovato mezzo divorato nell'erba alta attorno al campo. Le tracce indicano la presenza di un altro leone, ma il modo in cui è stato portato l’attacco appare diverso da come sono soliti agire. Gli uomini iniziano ad essere inquieti e per calmare gli animi John incarica alcuni gruppi di piazzare dei Bomas (recinti di piante spinose) attorno al cantiere.
L'indomani il leone attacca in pieno giorno, alla luce del sole. Gli uomini fuggono terrorizzati mentre John, assieme a Starling e Samuel, imbraccia il fucile e si getta alla carica in direzione opposta alla folla in fuga. Dietro uno degli edifici scorgono l'animale intento a sbranare il corpo di un operaio. Il leone non fugge né indietreggia alla vista dei tre cacciatori, emettendo bassi ruggiti di sfida resta immobile a dilaniare la sua preda, scena resa con incredibile realismo a livello d'immagine.
Perdonate una breve digressione ora: non l'ho detto prima di iniziare la recensione, ma è giusto sappiate che il film ha vinto un Premio Oscar per gli effetti sonori ed è forse nella scena appena citata che ci si inizia a render conto del contributo eccellente che questi danno al film. Mentre il leone divora la preda si sente perfettamente l'insieme di suoni che questo produce, le vesti che si strappano, la carne lacerata e le ossa che si spezzano sotto i morsi, il tutto inframmezzato dai ringhi sommessi del leone. Tutto è reso così bene, così nitido, che dimentichi per un attimo che si tratta di finzione: la scena è reale, il tuo cervello la percepisce come se tu fossi proprio lì, sotto un sole implacabile, a osservare un mangiatore di uomini all'opera. E da lì in avanti che, a mio parere, s'inizia a fare più attenzione alla notevole cura messa nel comparto audio. Ogni singolo suono, dal fruscio dell'erba secca al rumore di passi del leone, fino alla carne delle vittime strappata a morsi, ci aiuta a entrare in pieno nella storia, regalandoci un realismo incredibile.
Mentre il leone divora il povero operaio senza nome, John alza il fucile e prende la mira, ma un ruggito dall'alto distrae i tre uomini e li fa voltare di scatto. Sopra la tettoia dell'edificio sbuca un secondo leone che, in un attimo, balza a terra graffiando il braccio di John, il quale fa partire il colpo, ma manca la preda. Il secondo leone raggiunge il primo e, dopo aver sollevato il cadavere, lo trascinano via scomparendo entrambi nella sterpaglia. Solo quando i due leoni svaniscono come ombre John si gira, per scoprire il corpo senza vita di Starling tenuto stretto da Samuel. La faccia ridotta a una maschera di sangue, e il collo oscenamente dilaniato che pende inerte.
I leoni erano due, e Samuel si premura di farci sapere che questo non era mai successo, perché i mangiatori di uomini sono animali solitari. Il fatto getta i superstiziosi operai nello sgomento.
Col passare dei giorni, le vittime attribuite al nuovo mangiatore di uomini aumentano, gli uomini iniziano a mormorare che sia colpa di John se i due leoni attaccano, perché tutto è iniziato col suo arrivo. Gli operai credono che i due leoni non siano animali, ma spiriti di stregoni morti, tornati per diffondere la pazzia, o demoni malvagi, con lo scopo di impedire all’uomo bianco di dominare il mondo.
"Niente di buono succede qui a Tsavo. Perchè è questo che la parola Tsavo significa: luogo di sterminio."
Patterson, incapace di contrastare il crescente numero di morti, contatta Beaumont richiedendo alcune truppe armate per difendere gli operai, ma quest'ultimo, inferocito per i ritardi, rifiuta la proposta da lui giudicata irragionevole e contatta invece Remington (Micheal Douglas), un famoso cacciatore di fama mondiale, affinché prenda in mano la situazione.
L’arrivo di Remington riequilibra i fattori in gioco e i quattro ingaggiano uno scontro feroce composto da agguati, imboscate e trappole, nel quale i ruoli di prede e cacciatori si invertono di continuo. I due leoni, che siano davvero spiriti o semplici belve, non sono intenzionati a cedere il loro terreno di caccia, e il prezzo da pagare, per la vittoria, può essere più alto di quanto Patterson possa credere.
Prima di procede con l'analisi del film è giusto fare un pizzico di chiarezza: il titolo italiano, ben diverso nel significato da quello originale, come alcuni avranno notato, è stato modificato dai traduttori con l'evidente obiettivo di donargli più enfasi, con buona pace della fedeltà d'adattamento, perché il titolo originale "The Ghost and the Darkness" si riferiva precisamente ai due leoni, chiamati rispettivamente dai nativi Spirito e Tenebra. La modifica si ripercuote su tutto il film come un'onda, e ogni qualvolta che qualche personaggio parla dei due leoni si riferisce a loro con l'errato, scenografico, e un po' ridondante nominativo di "Spiriti nelle tenebre".
The Ghost and the Darkness, diretto nel 1996 da Stephen Hopkins, è l'ultimo (finora) adattamento cinematografico del libro The Man-Eaters of Tsavo, redatto e successivamente pubblicato dai resoconti scritti dello stesso Patterson nel 1907. Se non l'avete ancora capito, sì, il film è tratto da una storia vera. Ma andiamo per ordine, in calce parleremo anche di questo.
Durante la stesura della sceneggiatura Hopkins e il suo socio Goldman si prendono delle discrete libertà d’adattamento nel trattare le testimonianze di Patterson, modifiche che, tutto sommato, contribuiscono in positivo al risultato finale della pellicola. Fra i cambiamenti più evidenti risulta l'aggiunta delle criniere ai leoni, che nella realtà erano due maschi senza criniera, cambiamento forse dovuto al tentativo di rendere Spirito e Tenebra più imponenti. Protagonisti indiscussi della vicenda sono John Patterson (Val Kilmer) e Remington (Micheal Douglas), compagni d'armi in una sfida senza esclusione di colpi: Patterson è un irlandese testardo, un discreto gentiluomo e tutto sommato un cacciatore nella media. Il suo personaggio non ci mostra particolari guizzi recitativi, sebbene ci ponga davanti al mistero dei suoi capelli, mai cresciuti e sempre contraddistinti da un taglio ben fatto per tutti i mesi in cui il nostro resterà a Tsavo. Pieno così di barbieri, nell'ex africa coloniale.
La recitazione di Remington è quella di un Douglas in buona forma (ma di certo non eccellente), il che basta a mettere in ombra il buon vecchio Kilmer. Remington è un cacciatore di professione, un tempo soldato confederato (questo il film non lo dice espressamente, almeno nella traduzione italiana, ma è intuibile da alcune frasi di Samuel) ora girovago senza più una patria. Il personaggio, al contrario di Patterson, è puramente opera di fantasia: non è mai esistito alcun cacciatore famoso di nome Remington. La recitazione di Douglas è, come già detto, buona, nonostante in alcuni tratti sembri un po' troppo scattante, quasi forzata, ma fra lui e Kilmer si crea un buon rapporto di scena, si riesce davvero ad avvertire un certo cameratismo fra i due uomini, sempre supportati dalla figura in secondo piano di Samuel, che ricoprirà anche il ruolo di narratore esterno.
La musica di Jerry Goldsmith si dimostra ottima, contribuendo con la sua presenza a donare il giusto tono alle scene, accarezzando il film con musiche che, pur restando ben fisse in secondo piano, esaltano ogni inquadratura quanto più possibile.
Spiriti nelle Tenebre è un film del 1996, ha quindi poco più di vent'anni d'età, non è proprio recente, ma non lo si può assolutamente definire "d'epoca". Eppure, a vederlo senza conoscerne la data d'uscita, in molti sarebbero portati a dargli più del doppio dei suoi anni. La pellicola è un'efficace riproposizione di un genere ormai estinto, quello dei vecchi film d'avventura, puro e semplice, senza fronzoli o orpelli; che mostra lo scontro dell'uomo contro la natura selvaggia. Un tema nient'affatto riduttivo, che recupera, e racconta, ciò che di più vecchio c'è al mondo. Ritroviamo nel film un conflitto quasi primordiale, che, proprio in virtù della sua semplicità, non perde mai di significato.
La regia, sempre nell'ottica del suo essere un film con una forte impronta nostalgica, è piuttosto elementare. Non assistiamo quasi mai a particolari scelte stilistiche o visuali azzardate, è tutto molto tranquillo, sia che assistiamo a una sequenza d'azione o a un dialogo pacifico il tutto è reso con vari primi piani e campi medi, un tipo di linguaggio che contribuisce a creare il richiamo a un vecchio approccio di fare cinema oggi troppo raro.
L'approccio alla vicenda è reso in modo serio e mai sminuito da comicità fisica scadente o umorismo da discount tanto al chilo. Il film non è privo di sequenze più leggere o da momenti allegri, ma questi non sono infilati a forza per rendere il tutto più divertente; i personaggi non si comportano da buffoni, né da sbruffoni-battuta-pronta nelle scene d'azione. La comicità viene dai personaggi, sono loro a ridere e scherzare fra per primi, e lo fanno nel modo in cui lo faremmo tutti, con naturalezza, come si comporterebbero tre amici attorno a un fuoco.
Il film venne girato principalmente nella riserva di Songimvelo in Sudafrica, e solo alcune scene sono state effettivamente realizzate nello Tsavo National Park in Kenya.
Dal punto di vista estetico Spiriti nelle Tenebre cala lo spettatore all’interno di un Africa nostalgica, un mondo meraviglioso pieno di luce e dalle tinte dorate, un paradiso terrestre ricco di fauna selvaggia e orizzonti sterminati. Ma, come accade col susseguirsi della storia, basta smuovere un poco la superficie brillante perché risaltino alla luce i pericoli, le ostilità e le tenebre che si celano sotto l’apparenza, e più la superficie si smuove, più l'oscurità prende il sopravvento.
L’ampiezza della savana, con la sua dimensione sovrumana, da placido mare dorato ricco di fascino e mistero si trasforma, col procedere della pellicola, in una visione atterrante, non dissimile da uno scuro specchio d’acqua insondabile. Spirito e Tenebra si muovono quasi eterei fra le vaste distese d’erba mosse dal vento, talvolta visibili, ma anche quando non li vediamo, l’occhio continua a suggerirci la loro presenza, accovacciati in attesa e pronti per attaccare. Questa credo sia la miglior prova di tensione che Hopkins riesce a costruire. Forse una sola volta in tutto il film i leoni sono davvero presenti in una delle numerose inquadrature delle distese d'erba mosse dal vento, eppure è solo un attimo che in un ombra appena più accennata, o in un movimento sospetto, la nostra mente vede il leone. Il leone c'è, anche se non l'hai visto. Riuscire a ricreare questa tensione, a stimolare così la nostra fantasia senza ricorrere all'uso delle scene al buio, ma alla luce diretta del giorno, è forse ciò che più è ben riuscito in questo film.
Gli eventi si avvicendano serratamente, in un susseguirsi di situazioni cariche di tensione dove il confine fra cacciatori e prede, fra chi tende l'agguato a chi, diventa spesso una mera questione di punti di vita.
Ho personalmente apprezzato molto questo film, e lo apprezzo tutt'ora ad ogni visione che mi capita di ripetere, ma può non essere un film per tutti; gli elementi trattati, e il tema avventuroso un po' datato, possono non interessare, ma se siete anche solo alla ricerca di un film gradevole, girato in modo pulito e capace di farvi trascorrere due ore in modo coinvolgente, vi consiglio di farci un sincero pensiero.
Un film da prima serata, che piaccia o no, capace di divertire e di far nascere, a chi è abbastanza vecchio per "sentirlo", un piacevole sentimento nostalgico.
Negli ultimi anni del XIX secolo, la Imperial British East Africa Company intraprese, come vi ho già accennato, la costruzione di una ferrovia lungo tutto il Kenya. Nel marzo del 1898 s'iniziò la costruzione di un ponte sul fiume Tsavo. Durante la costruzione una coppia di leoni maschi, senza criniera, trovò nel cantiere una facile riserva di cibo e i due animali si stanziarono in zona. Gli animali aggredivano gli operai di notte per trascinarli lontano dalle tende e divorarli. I tentativi di abbattere o di fermare i leoni fallivano uno dopo l'altro e l'insostenibile situazione andò avanti per mesi interi. Gli attacchi aumentarono a tal punto da causare un blocco totale dei lavori, e gli operai neri iniziarono a credere che questi attacchi avessero un'origine soprannaturale. Dopo mesi d'interventi inefficaci, lo stesso Patterson iniziò a credere che questi leoni non fossero animali normali, affermando che i due leoni fossero capaci di resistere addirittura a un colpo di proiettile. Patterson, nonostante le difficoltà, riuscì ad abbattere il primo leone, il 9 Dicembre 1898, e venti giorni dopo riuscì ad abbattere anche il secondo. Parlando di caratteristiche sovrannaturali, Patterson racconta che una notte riuscì a ferire il primo leone alla gamba ma che questo fuggì, e torno la notte successiva stalkerandolo come se volesse vendicarsi. Patterson riuscì a sparare di nuovo, ferendolo al cuore con uno dei fucili più potenti che aveva, trovandolo morto il giorno dopo, disteso non lontano dalla sua piattaforma di caccia.
Il secondo leone fu ancora più incredibile e, sempre secondo la testimonianza di Patterson, furono necessari 10 proiettili, per abbatterlo, e che il leone non morì in fuga, dopo così tanti colpi, ma mentre cercava, nonostante le ferite di raggiungerlo per sbranarlo.
Nel 1924 Patterson vendette le pelli dei due leoni al Field Museum di Chicago, dove sono conservate ed esposte ancora oggi.
Secondo gli studiosi, le linee generali della vicenda raccontata da Patterson (i due leoni che attaccano gli operai della ferrovia) sono veritiere, ma molti dei dettagli sono stati romanzati. Viene ritenuto oggi che il numero delle vittime attribuito alle due fiere, cioè 135 uomini, sia davvero eccessivo e che i due non uccisero più di 35 uomini. Lo stesso fenomeno descritto da Patterson poteva non essere così eccezionale come venne dipinto: i leoni dello Tsavo avevano già da tempo iniziato a predare gli esseri umani, molto prima del suo arrivo. Le ipotesi su questo comportamento anomalo sono molte, ma una di quelle predominanti sembra sia l’epidemia di peste bovina, che, negli anni 1890, decimò la popolazione delle prede preferite dai leoni della zona (zebù e bufali). Con la carestia che seguì, anche la popolazione umana locale fu gravemente colpita da fame e vaiolo, ed è possibile che i leoni abbiano iniziato a familiarizzare col sapore della carne umana divorando cadaveri. Anche il traffico di schiavi può aver contribuito alla disponibilità di cadaveri umani: si stima che ogni anno oltre 80.000 persone morissero di stenti nelle carovane dei mercanti di schiavi che transitavano nella zona, diventando facili riserve di cibo.
Una foto di Patterson dopo l'uccisione del leone.
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