Title: The Valley of Gwangi
Paese: Stati Uniti
Anno: 1969
Durata: 85 minuti
Regia: James O'Connolly
Attori: James Franciscus, Gila Golan, Richard Carlson, Laurence Naismith, Curtis Arden, Gustavo Rojo
Siamo in Messico, in un periodo indefinito fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, fra cowboy, messicani, cavalli e vaste praterie. Indiani no, ma ci sono gli zingari. La cowgirl T.J. Breckenridge (Gila Golan), impegnata nel tentativo di tenere unito lo spettacolo del suo circo-rodeo itinerante, scorge fra il pubblico un volto familiare che non avrebbe voluto mai rivedere. Il viso incriminato appartiene a Tuck Kirby (James Franciscus), suo ex compagno, sia di spettacolo che di letto, reo di aver abbandonato il circo per un lavoro più sicuro e remunerativo presso il Wild West Show di Buffalo Bill.
Lo spettacolo consiste in una versione più elaborata del gioco cowboys vs indiani che si gioca da bambini, che si conclude col gran finale nel quale TJ e Omar, il cavallo delle meraviglie, si gettano da una piattaforma alta 15 piedi in un serbatoio d'acqua. Al termine dello show Tuck confessa a una T.J. poco incline ad ascoltarlo di essere tornato sia per lei, che per Omar il cavallo, che Buffalo Bill vorrebbe nella sua scuderia.
Non sentendosi particolarmente ben accetto dai suoi ex compagni, Tuck batte presto in ritirata. Lungo la strada per il suo hotel fa la conoscenza di Lope (Curtis Arden), un bambino messicano che tenta in ogni modo di vendergli qualcosa. Tuck, scoperto che il piccolo è orfano, accetta di affittare un cavallo (e Lope non perde occasione per affittargli anche la sella. Per un piccolo extra); mentre i due attraversano le distese brulle fuori città si imbattono casualmente nel paleontologo Horace Bromley (Laurence Naismith).
Lo scienziato viene aiutato a tornare al suo accampamento, dove illustra ai due compagni la sua affascinante teoria: secondo le ultime ricerche archeologiche il genere homo è apparso per la prima volta circa un milione di anni fa, ma in alcuni scavi circostanti il paleontologo ha rinvenuto alcune tracce di Eoippo, l'antenato di taglia ridotta degli attuali cavalli vissuto 50 milioni di anni fa, le quali sono legate al fossile di una tibia di ominide. Quel che Bromley vuole dimostrare quindi, è l'esistenza di una specie ominide estremamente antica finora sconosciuta.
Tuck non demorde nel suo tentativo di prendersi cavallo e donzella, e il giorno successivo si ripresenta al rodeo, armato di un sorriso a 32 denti e una faccia di bronzo considerevole, tentando in tutti i modi di scaldare il gelo che T.J. continua a mostrargli. Nel frattempo Lope, da buon bambino rompipalle dei film, cerca di testare le sue doti di matador entrando nell'arena e stuzzicando un gigantesco toro. Tuck si getta d'istinto contro il toro nel tentativo di distrarlo, dando tempo così alla troupe di portare via il bambino, gesto eroico che fa cedere T.J. alle costanti avance al limite dello stalking dell'uomo.
Riappacificatisi come niente fosse mai accaduto, T.J. mostra a Tuck l'arma segreta che intende usare per far tornare il circo sulla cresta dell'onda. Da dentro un recinto in miniatura, T.J. fa uscire un cavallino grosso quando un cane di piccola taglia. El Diablo è il nome dato all'animale, e nella sua figura Tuck ricollega subito quella dell'Eoippo di cui il professor Bromley gli aveva parlato. El Diablo è stato addestrato da T.J. a danzare su una specie di supporto che verrà poi montato sulla sella di Omar... Non è un film di Wes Anderson, ma è sempre più interessante di vedere gente che gioca agli indiani e ai cowboy, suppongo.
Il piccolo cavallino è stato catturato da Carlos (Gustavo Rojo), uno dei membri del rodeo, impresa che è costata la morte a suo fratello nella Valle Proibita. La zingara veggente Tia Zorina (Freda Jackson), appartenente alla stessa tribù di Carlos e suo fratello, afferma che il cavallo è maledetto, e che se non verrà presto restituito alla sua terra, la vendetta di Gwangi si abbatterà su tutti loro. Sul perché questa tribù si sia eretta a guardia di quelle terre, non ci è dato sapere, forse una di quelle brutte storie poco chiare di multiproprietà immobiliari.
Tuck, da bravo uomo di fiducia, spiffera tutto al nuovo amico paleontologo in meno di qualche ora. Il professor Bromley quasi ha un mancamento alla vista dell'Eoippo, e, desideroso di un cavalierato di sua maestà, cerca di farsi rivelare dagli zingari dove si trova questa Valle Proibita. La vecchia Tia rifiuta di dire una sola parola al riguardo, così il professore decide di usare El Diablo come un letterale cavallo di troia. Gli interessi di tutti i personaggi convergono così sul piccolo cavallo preistorico: gli zingari, scoperto grazie al professore il luogo in cui El Diablo è custodito, lo rubano per riportarlo indietro e annullare la maledizione; il professore decide di seguirli per scoprire l'ubicazione della valle, Tuck, temendo di essere accusato per il furto e intenzionato a riconquistare T.J., si lancia all'inseguimento trascinando dietro di sé Lope (mi mancano i giorni dove non esisteva il telefono azzurro), e l'intera troupe del rodeo si lancia all'inseguimento di Tuck per fargli lo scalpo, pensando che sia stato lui a rubare il cavallino. Il tutto in una sorta di versione semiseria di uno sketch del Benny Hill Show.
Uno dopo l'altro, tutti i partecipanti all'inseguimento entrano dentro una stretta fenditura fra le montagne che nasconde questo ennesimo paradiso perduto, gesto che scatenerà le ire del feroce Allosauro Gwangi.
Appartenente a pieno diritto al filone misconosciuto del “Weird Western”, genere che lega l'ambientazione di carattere Western alla fantascienza, intesa anche come fantastico o orrore, The Valley of Gwangi è il secondo film a sfruttare il connubio cowboy e dinosauri dopo il meno conosciuto The Beast of Hollow Mountain, e probabilmente il più riuscito dei due.
Diretto da James O'Connolly, il concept originale de La Vendetta di Gwangi venne sviluppato da Wills O'Brien, il papà di King Kong. La trama è liberamente ispirata dal libro Il Mondo Perduto di Athur Conan Doyle, con l'aggiunta di elementi ripresi dallo stesso Kong: una creatura preistorica catturata e portata nella civiltà come elemento di spettacolo. La sceneggiatura definitiva era molto simile alla prima bozza, che purtroppo O'Brien non riuscì mai a veder realizzata.
Quando si devono buttare giù i listoni dei film più famosi o apprezzati di Harryhausen, The Valley of Gwangi è spesso il grande assente. Quasi sempre ignorato da tutti, la pellicola di O'Connolly risulta in verità un prodotto d'intrattenimento davvero ben riuscito. Miscela diversi elementi di genere: l'ambientazione da cowboy, la trama presa di peso da un film della famiglia del Mondo Perduto, una commedia d'amore che già vent'anni prima sarebbe parsa stantia nei temi, perfino un gruppo di zingari inquietanti presi di peso dalle contrade della Transilvania, più adatti a un film di licantropi che di dinosauri, riuscendo a mantenere tutto in precario equilibrio.
Jim O'Connolly sceglie di raccontarci la storia prendendosi tutto il tempo necessario per inquadrare i protagonisti e il loro ruolo nella storia, col risultato che la prima metà del film gira attorno ad intrighi, rapporti amorosi ed esibizioni testosteroniche fra cowboy. Il lodevole tentativo riesce solo in parte e, sebbene ci permetta di conoscere i personaggi come figure più rifinite che non meri bocconcini di carne con un numeretto sulla schiena, la loro caratterizzazione non gli consente di uscire da determinati paletti di genere.
Tuck è il nostro protagonista duro e crudo, un uomo coraggioso e intraprendente, ma avido e fortemente maschilista nel dimostrare i suoi sentimenti. T.J. è invece interpretata da Gila Golan, che ci regala un risibile quadretto di donna indipendente, coraggiosa e sicura di sé, finché non riesce a trovare un uomo che le spieghi cosa lei vuole davvero dalla vita e come tutto quello che pensava finora fosse sbagliato. Ed è di questo che parla il film per una buona metà della sua durata. Volete un dinosauro? Dovrete sudarvelo.
Il focus attorno a cui è sviluppata la trama de La vendetta di Gwangi è la vicenda di questo cowboy approfittatore e senza scrupoli (ma in fondo in fondo dal cuore d'oro eh), che dopo aver abbandonato la sua compagna per denaro torna a chiederle di svendere il suo spettacolo per aiutarlo nel suo lavoro, per poi rinunciare a tutti i suoi sogni futuri e aprire con lui un ranch in Wyoming. Un uomo che quando T.J. decide di proseguire con la sua vita da rodeo, cerca di convincerla che siccome lui non c'è riuscito, neanche lei può farlo, e le conviene trovare qualcuno con cui accasarsi prima possibile, e che infine, nel momento in cui lei si fida davvero di lui tanto da rivelargli il suo unico asso nella manica, Tuck è tanto degno di fiducia da rivelarlo a un uomo incontrato il giorno prima.
La costruzione dei ruoli di genere è tanto fieramente sessista, da fare il giro e risultare quasi affascinante, nella sua completa assenza di tatto, anche per l'epoca in cui il film è uscito.
Il film viene costruito interamente attorno alla figura e al talento di Harryhausen, qui all'opera sul suo ultimo film a tema dinosauri. È la sua mano a dar vita alla vera star della pellicola, Gwangi, il cui nome campeggia a caratteri cubitali nel titolo. Mettendo a frutto tutta l'esperienza maturata in anni di lavoro sul campo, Harryhausen ci restituisce alcuni effetti speciali di straordinaria fattura, che richiesero più di un anno di lavoro per oltre 300 tagli di Dynamotion. Un record per il maestro.
E non fu un lavoro dedito solo alla creazione delle creature preistoriche.
La prima sequenza animata del film riguarda infatti il salto di Omar e T.J. dentro il barile. Poiché fu ritenuto troppo rischioso far eseguire l'acrobazia da un cavallo vero e uno stuntman, fu registrato il salto vero eseguito da Gila Golan e il cavallo su un finto trampolino, per staccare poi su un modellino giocattolo comprato da un negozio di giocattoli, con lo splash del tuffo innescato da una carica all'interno del serbatoio.
La qualità degli effetti speciali diventa ancora una volta vero protagonista della pellicola, facendosi carico di tutta la vena artistica che Harryhausen riusciva a infondere nelle sue creazioni, ponendo come sempre un soffio vitale in ciascuna di esse. Vedere il modellino di Gwangi muoversi, il modo in cui le sue gambe e la sua coda si agitano costantemente alla ricerca di un preciso equilibrio come farebbe una creatura reale, dotata di un peso concreto che i pixel purtroppo non possiedono. Colpisce enormemente il pensiero della quantità di lavoro e delle decine di ore necessarie all'ottenimento di pochi secondi di filmato.
Davanti a voi potete ammirare una classica rappresentazione di lotta greco-romana fra due giovani gladiatori.
Harryhausen amava infiocchettare spesso le sue creazioni con animazioni anche “superflue”, ma che esulavano dal mangia-schiaccia-distruggi, piccoli elementi che passano inosservati a uno sguardo affrettato, ma riescono a infondere anche a livello inconscio un'aura vitale. Gwangi ci viene presentato fin da subito come una creatura piuttosto rancorosa, il suo ghigno restituisce l'immagine di un essere costantemente irritato, non solo un mero animale senza carattere. Autentica è anche la sua reazione al suono dell'enorme organo della chiesa, al quale indietreggia confondendolo col ruggito di un'altra creatura.
Fra le scene più iconiche è d'obbligo citare la prima apparizione di Gwangi, che vediamo spuntare da dietro una parete rocciosa avventandosi su un Ornithomimus, sequenza che verrà fortemente omaggiata dal primo Jurassic Park.
Il film contiene, inoltre, una delle sequenze più complesse mai realizzate da Harryhausen, nella quale i cowboy tentano di prendere al lazo Gwangi, scena che richiese, da sola, quasi quattro mesi di lavoro. L'effetto è stato ottenuto facendo aggrappare gli attori alle corde legate a un “monster stick” fissato su una jeep. La presenza della Jeep è stata poi celata da una piastra di proiezione davanti alla quale è stato posizionato Gwangi, mentre le corde attaccate alla creatura erano solo dipinte in modo da abbinarsi alle corde reali. Il coordinamento di tutte queste parti, compresi gli stessi cavalli, fu com'è ovvio particolarmente difficile da girare.
Il film purtroppo fu vittima di una serie di circostanze sfavorevoli che ne decretarono una prematura caduta nel dimenticatoio. Durante il periodo in cui Ray Harryhausen stava lavorando agli effetti speciali del film, all'interno della Warner Bros stavano avvenendo alcuni cambiamenti ai vertici, e la nuova gestione non vedeva di buon occhio La Vendetta di Gwangi. Purtroppo le prime recensioni ufficiali delle maggiori testate giornalistiche non aiutarono a far cambiare loro idea. La maggior parte di esse ne parlò come un film noioso, o non apprezzarono particolarmente la commistione dei generi.
La scarsa promozione e i primi voti a malapena sufficienti non riuscirono ad essere ribaltati dall'interesse del pubblico. Un film su una gigantesca creatura catturata che fugge e distrugge ogni cosa era vista generalmente come un archetipo antiquato, lontano da ciò che ci si aspettava in quegli anni. I decenni dove creature giganti avevano dominato la celluloide, trascinando folle adoranti ad ammirare estasiate la loro opera di distruzione, erano ormai agli sgoccioli. Da questo punto in avanti, fino all'arrivo di Jurassic Park, che segnò una rinascita dei Dinosaurs Movies, il genere venne tenuto in vita tramite respirazione artificiale con poche e sporadiche pellicole, in buona parte ampiamente dimenticabili, come The Crater Lake Monster.
La Vendetta di Gwangi vive oggi sotto una nuova luce, riscattato dal dimenticatoio grazie all'ottimo lavoro svolto da Harryhausen e al fascino d'epoca di cui è ammantato.
Cowboy e dinosauri. Cos'altro può volere un bambino? Il film parla a un immaginario infantile, coniugando in questo piatto fusion tanto ardito quanto zoppicante due passioni classiche dell'infanzia. Il valore del film è legato prettamente alla sua storicità che a meriti propri. Manca di picchi di tensione degni di nota, e di una costruzione che vada oltre il mero intrattenimento spicciolo. Non ci sono particolari chiavi di lettura che reggano la baracca, se non un ulteriore reiterazione dell'egoismo dell'uomo, che al solo fine di montare uno spettacolo circense, va a cagare il cazzo a una creatura innocente, per quanto incazzosa, che se ne stava per fatti suoi.
La natura amorale dei protagonisti, il loro totale egoismo verso tutto ciò che li circonda, natura o persone che siano, dovrebbe portare lo spettatore a tifare per la creatura, ma Gwangi non è Kong. L'allosauro non sembra meno stronzo delle controparti umani che cercherà di divorare, e sua conclusione inoltre, all'interno della cattedrale, sembra quasi un'allegoria di una sorta di giustizia divina nei confronti della creatura, che spinge a domandarsi “perché?”, quando sarebbe stata una fine molto più appropriata per Tuck.
Un'ultima nota di merito della pellicola deve riscontrarsi nella fotografia. Girato in Spagna, nella Cuenca e in Andalusia, il film è luminoso, con paesaggi ad ampio respiro, sia essi naturali che urbanizzati, che restituiscono una sensazione di pace e bellezza. Quasi sembra incredibile che sotto un simile sole possa accadere alcunché di orrorifico.
In definitiva un film piacevole, che non sfigurerebbe in una prima serata a tema revival di pellicole storiche, cosicché magari qualche nuovo bambino possa fantasticare su questo melting pop unico nel suo genere, o magari qualche adulto possa riscoprire un po' il suo bambino interiore.
Consigliato a chi non teme un po' di sano delirio vecchio stile.
Consigliato a chi non teme un po' di sano delirio vecchio stile.
Trailer:
Trivia
- “Gwangi” è una parola originaria di alcuni Nativi Americani che significa “lucertola”.
- Il colore di Gwangi sembra cambiare diverse volte da una sequenza all'altra, passano da un grigiastro, a un blu smorto fino anche a una sorta di violetto. Questo perché Harryhausen pare fosse talmente impegnato con le animazioni, da non avere tempo sufficiente per le prove di colore.
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