Attenzione. Le recensioni dei film presenti sul blog possono contenere tracce di SPOILER e frutta a guscio, in caso di allergia astenersi dalla lettura.
Volendo gli articoli trattare l'argomento nel modo più esaustivo possibile è necessaria la presenza di elementi della trama, che in assenza renderebbero monca l'analisi del film. Di conseguenza non sarà inserito alcun avviso all'interno delle singole recensioni.

martedì 27 agosto 2019

King Kong 1933 - Recensione



  Title: King Kong
  Paese: Stati Uniti
  Anno: 1933
  Durata: 100 minuti
  Regia: Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsak
  Attori: Fay Wray, Robert Armstrong, Bruce Cabot, Frank Reicher, Sam Hardy.

  New York. 1933. La città che non dorme mai è stata colpita in pieno dalla Grande Depressione, annientando le sicurezze formatesi durante il boom economico degli anni precedenti, e infrangendo l'ormai lontano ricordo dell'American Dream. Carl Denham (Robert Armstrong), un ambizioso e cinico regista alla costante ricerca di forti emozioni e ambienti esotici da rivendere ai suoi spettatori, attende a bordo della Venture di poter salpare verso il mare aperto. Mentre il capitano Englehorn espone dubbi legittimi sull'entità del carico (bombe a gas e tante munizioni da armare un piccolo esercito) e sull'ostinazione di Denham a tenere segreto perfino a lui l'obiettivo del viaggio.
  Quando il suo agente teatrale gli comunica l'impossibilità a trovare un'attrice disposta a imbarcarsi per mesi per chissà dove, Carl scende dalla nave e decide di trovare lui stesso un "bel faccino" da poter piazzare sulla pellicola, setacciando ogni strada della città. Fortuna vuole che si imbatta nella giovane Ann Darrow (Fay Way) mentre questa tentava di rubare qualcosa da mangiare, vittima anch'essa della crisi economica che gravava sul paese. Giovane, carina, letteralmente affamata e, per fortuna di Denham, con alcuni trascorsi da attrice. Ann coglie al volo l'offerta di Carl, non avendo suo malgrado molte altre prospettive. 


  La Venture non perde tempo e salpa appena possibile per il lungo viaggio che la porterà a largo delle coste di Sumatra, in Indonesia. Qui Denham rivela al capitano Englehorn e al primo ufficiale Jack Driscoll (Bruce Cabot) la loro vera destinazione, un'isola ancora inesplorata, non segnata sulle mappe, dove il regista è certo di trovare la sua prossima grande opera naturalistica. Solo dopo venti minuti di film lo spettatore, come anche l'equipaggio, è finalmente messo a conoscenza della destinazione del viaggio, conoscenza che oltretutto pone più dubbi che certezze, garantendo così il mantenimento di uno stato di angoscia e interesse nel pubblico, tecnica ormai ben rodata nel cinema horror.
  Il viaggio scorre abbastanza tranquillo, fra Ann che si abitua alla vita su una nave e Driscoll che non fa che ripeterle immotivatamente come lì lei sia solo un impiccio e un fastidio, con un non-mascherato sessismo d'altri tempi.


  Giunti su Skull Island la spedizione scopre l'esistenza di una tribù primitiva intenta a celebrare uno strano rituale, nel quale paiono intenzionati a offrire in sacrificio una giovane donna del villaggio. Gli stranieri non sono ben accolti dagli indigeni, i quali si mostrano però interessati alla "giovane donna coi capelli dorati". Per garantire la sicurezza di Ann, Driscoll ed Englehorn riportano tutti al sicuro sulla nave, ma quella notte stessa gli indigeni riescono a rapirla, con l'intento di offrirla in sacrificio al loro dio. 


  Richiamato dal rullo dei tamburi, Kong, dopo una lunga attesa durata quasi metà della pellicola, emerge dalla boscaglia oltre l'enorme muro di pietra, mostrandosi alla terrorizzata Ann in tutta la sua enorme statura. Invece di ucciderla, l'enorme gorilla la raccoglie gentilmente sul palmo della mano e la porta via con sé. Allontanati gli indigeni grazie alle armi da fuoco, Jack e Carl, insieme a una dozzina di uomini, decidono di inseguire l'enorme Kong per recuperare Ann. 
  La loro spedizione di salvataggio è costellata di pericoli, in un mondo preistorico impietoso e popolato da creature gigantesche; e mentre Driscoll è mosso solo dal desiderio di rivendicare la bella dalle grinfie del mostro, nella mente di Denham si fa strada un pensiero più grande, e pericoloso: l'enorme Kong è quanto di più spaventoso abbia mai visto, l'oggetto che ha cercato in tutti questi anni… il solo filmarlo sarebbe sufficiente? Perché invece non fare di più? Perché non mostrarlo vivo, in carne ed ossa? Un potente squarcio di quell'ignoto che il suo pubblico agogna e desidera così ardentemente.

"E la bestia guardò in faccia la bellezza. E tolse le sue mani dall'uccidere. 
E da quel giorno, essa fu come un morto." Antico proverbio arabo.

  Scrivere di questo film, e voler dire qualcosa di interessante a riguardo è difficile. Difficile perché c'è davvero tanto da dire, e molto o forse tutto, è già stato detto altrove, da persone probabilmente molto più abili di me nel farlo. La quantità di osservazioni da fare è tale che anche solo pensare a un attacco è complesso.
  Riflettendo, ho convenuto che il modo migliore per iniziare sia l'analisi di una singola sequenza. Sono molte le scene iconiche del film, entrate ormai a far parte dell'immaginario collettivo, come la prima apparizione della creatura con un Ann offerta in sacrificio dagli indigeni, o la famosissima sequenza finale sulla cima dell'Empire State Building. Ma quella che più di tutte reputo utile alla comprensione della pellicola, è il grande evento di Denham, la pubblica esposizione (o umiliazione) di Kong. 
  L'attimo in cui le tende si levano e il pubblico osserva con un misurato terrore la creatura rappresenta l'apice raggiungibile dall'umanità nell'eterna lotta contro la natura, nel film rappresentata come un pericolo, una minaccia, qualcosa da cui l'uomo non può che trarne dolore a meno che quest'ultimo non riesca a sottometterla. 


  La pellicola di Cooper e Schoedsack pone un forte accento sull'inconciliabilità della civiltà (in questo caso dell'America bianca) e della natura rappresentata non solo come giungle inesplorate o animali selvaggi ma anche come semplicemente di ciò che è "diverso". Fin da quando l'equipaggio della nave giunge su Skull Island vengono a crearsi due realtà ben distinte, rappresentate dai marinai della Venture e, di volta in volta, da tutto ciò che li circonda. Gli indigeni vengono visti con diffidenza, tra l'altro ricambiata, e non vi è mai collaborazione fra loro, ma solo aperta ostilità alternata a fasi distensive di reciproco distacco. 
  Non appena Driscoll e la sua ciurma attraversano il portale per giungere in quello che è a tutti gli effetti un mondo perduto, la prima azione che compiono è uccidere uno dei dinosauri che lo abitano, per poi essere a loro volta aggrediti e uccisi da un altro di loro. Kong non si fa scrupoli a gettare quasi tutti i suoi inseguitori in fondo a un burrone, né Denham a privarlo della sua libertà per farne un fenomeno da baraccone. Solo durante gli eventi finali della fuga di Ann e Driscoll, vediamo marinai e indigeni collaborare, ma con una chiara intenzione di opporsi a qualcosa di ancora più primitivo e letale di questi ultimi.


  Se fino al momento della cattura di Kong la pellicola rappresentava un soggetto di pura evasione, una fuga dalla realtà dello spettatore che ha potuto godere un'avventura esotica in lande selvagge e inospitali, ma lontane da sé e dalla sicurezza della sua dimensione, è nella seconda parte della pellicola che i due registi ingranano la marcia, portando l'orrore selvaggio e primitivo in una dimensione reale e rassicurante. L'eccessiva sicurezza nelle proprie capacità e il superficiale sottostimare di ciò che è erroneamente considerato inferiore porta inesorabilmente allo sgretolarsi delle certezze di controllo che l'umanità riteneva di poter avere su ciò che la circondava, catapultando l'orrore selvaggio dentro le loro case.

  L'esposizione di Kong al pubblico "da bene" della New York che meno ha risentito i danni della crisi economica diventa anche metafora visiva perfetta di un capitalismo sfrenato, in parte responsabile della situazione in cui il paese versava. 
  Dei tre protagonisti umani della pellicola, Denham è forse l'unico che meriti un discorso a sé; è un uomo scaltro, furbo, dotato di buona intelligenza, ma di cui fa un uso totalmente sbagliato. Non ha dubbi o dilemmi morali in ciò che fa: coinvolgere una fanciulla innocente in un viaggio pericoloso, assistere alla morte di molti uomini dell'equipaggio, catturare e rinchiudere Kong, reo unicamente di essere diverso, mostruoso ai loro occhi, garantendone la visione al modico prezzo di un biglietto del teatro (appellandolo poi, in modo assai ironico, "King"). Tutto ciò che fa è orientato al solo scopo di un buon profitto, incurante del resto, dei rischi, o di chi dovrà calpestare per giungervi. 
  Denham è espressione perfetta di un certo tipo d'uomo dell'epoca, personificazione di quel capitalismo insano che schiaccia tutto ciò che incontra, e depreda mezzi, risorse e addirittura esseri viventi ovunque può, per inglobarli in una macchina del profitto senza fine, incarnata in questo caso dal mondo dello show business. La furia di Kong che si libera dalle catene dà voce alla rabbia repressa di un popolo fortemente tormentato, senza più promesse per il futuro e molto spesso abbandonato a se stesso, incapace come invece il nostro mostro può fare, di dare libero sfogo alle sue pulsioni.


  Ulteriore tema che viene fortemente sottolineato nella già citata sequenza, è chiaramente di carattere razziale, anche se forse non come lo intendiamo oggi. L'America degli anni 30 era ancora un paese fortemente razziale, ricco di discriminazioni purtroppo molto radicate. Kong stesso è chiaramente ispirato a un nero, non solo per la sua carnagione ma sopratutto per i primi piani del suo volto, tratteggiato da elementi tipici ed espressioni ebeti con cui venivano parodiati i neri nei disegni di quegli anni.
  Kong, la creatura nera selvaggia, viene quindi prelevata a forza dalla sua giungla e portata nel mondo civile, dove terrorizza dei poveri abitanti "civilizzati". Nel film non c'è pietà per la creatura, che sebbene in alcune occasioni viene raffigurata agire con modi gentili, resta di natura violenta, pericolosa suo malgrado per chi gli è intorno. Più chiara di qualsiasi allusione possa essere estrapolata dal film, il fatto più evidente che simili atteggiamenti erano ben radicati nella società viene dimostrato dal fatto che una simile sovrapposizione di idee non abbia destato il benché minimo scalpore nella stampa dell'epoca.


  King Kong non fu la prima collaborazione dei due registi Merian C. Cooper ed Ernest Schoedsack, i quali avevano creato un forte sodalizio già molti anni prima, incontrandosi sul fronte polacco durante la prima guerra mondiale. Fin da subito i due uomini compresero di avere molto in comune, fra cui una forte passione per l'ignoto, l'uomo che doma la natura selvaggia, la scoperta di nuove terre sconosciute. I loro primi lavori non a caso possedevano un forte taglio documentaristico, fra i quali vale la pena citare il film Grass del 1925, in cui il duo inseguì la tribù nomade Bakhtiari nella Persia documentandone le difficili condizioni di vita.
  Cooper e Schoedsack nel tentativo di portare su schermo il timore dell'esplorazione e della scoperta presero spunto anche da produzioni precedenti, fra cui l'adattamento cinematografico The Lost World del 1925, il quale aveva portato su schermo il mondo preistorico tratteggiato da Arthur Conan Doyle, coniungando questo desiderio di scoperta con la loro esperienza personale. King Kong è alla fin fine un film sul "fare un film", uno dei primi progetti di metacinema apparsi sullo schermo. Impossibile non associare Denham a una sorta di proiezione dei due registi, molti i tratti in comune, come il coraggio mostrato contro l'ignoto, il continuo esplorare le regioni più inesplorate del mondo, la forte vena avventurosa, senza farsi mancare anche un sottile velo di autoironia.
  Degno di nota il siparietto in cui Denham spiega perché sia lui in persona, a girare i suoi film "... avrei avuto una bella ripresa di un rinoceronte in carica, ma il cameraman si è spaventato. Il dannato scemo. Ero proprio lì col fucile puntato.". Lo stesso Schoedsack, durante le riprese del film Chang si era trovato faccia a faccia con una tigre, e ciononostante mantenne la macchina da presa stabile.


  Lo sviluppo del nucleo portante della trama, il rapporto a senso unico fra Kong e Ann, è una diretta trasposizione della fiaba "La bella e la bestia", la quale viene però trattata con crudezza, in modo molto cinico come già avviene nel sopracitato rapporto uomo e natura. Ann non ama Kong. La donna non proverà neanche affetto o lieve simpatia per la creatura, che al contrario pare tenere a lei ben più di quanto un osservatore distratto possa cogliere. Al contrario della pellicola del 2005 girata da Peter Jackson, dove scrollandosi di dosso vari temi oggi forse un po' stantii, il regista ha potuto porre l'accento sull'aspetto più intimistico della creatura, sul suo rapporto con gli uomini e sopratutto in quello con Ann, il Kong originale è in tutto e per tutto un animale selvaggio, rifiutato dalla società tutta compresa Ann, che non mostrerà mai più di un genuino orrore ogni qualvolta Kong la afferri, non importa con che tatto lo faccia, o che l'abbia salvata più volte da numerose creature che hanno tentato di ucciderla. Kong sarà costantemente rifiutato dalla bionda fanciulla, in quanto elemento naturale e selvaggio, inconciliabile con la visione umana del mondo. Ann arriva addirittura a preferire Jack Driscoll, che, se la cosa ha un suo senso all'interno della divisione di specie, c'è da dire che Driscoll non l'ha trattata meglio di quanto la scimmia abbia fatto. Per metà del film il primo ufficiale non fa che ripeterle come lei sia un impiccio e una seccatura, salvo poi farla cadere fra le sue braccia appena le dichiara il suo interesse sentimentale.
  In questa visione così fredda, e così cinica, il messaggio della favola originale viene completamente stravolto. Laddove l'amore poteva salvare la bestia, e ritrasformarlo in un principe, qui non ci sono lieto fini, e l'amore non è forza, ma debolezza, poiché è stata la bellezza a incrinare lo spirito indomabile di Kong, rendendolo umano, e vulnerabile, conducendolo infine alla sua tragica fine, in quell'ultimo salto dall'Empire State Building, l'edificio più alto della città, posto a giocare un'ultima parte nell'onnipresente nella pellicola dello scontro della civilizzazione contro la natura, che appare stavolta quasi ridotta di statura, in confronto alla massa dell'enorme struttura simbolo del progresso.


  Il rapporto bestia-fanciulla nasconde inoltre un fortissimo sottinteso sessuale, in piena dissonanza con il moralismo tipico di quegli anni, e possiamo solo immaginare l'effetto che ebbe sul pubblico all'epoca. Dopo che Kong ha portato Ann in cima alla montagna del teschio, e prima dell'arrivo dello pterodattilo, il gorilla inizierà a trastullarsi con la giovane fanciulla, toccandole tutto il corpo col suo enorme ditone e spogliandola in una sorta di gioco erotico, portato avanti però da un Kong più curioso, che eccitato, il che non attenua la potenza sessuale della scena.
  Questa sequenza verrà, più avanti, fatta opera di censura dalla MPPDA, un'associazione nata in seguito alle pesanti proteste degli esponenti delle varie chiese, le quali additavano al cinema come diffusore di violenza e immoralità, e che si fece carico di mettere al bando ogni situazione minimamente allusiva su grande schermo. La scena del dito fu mostrata quindi solo durante il primo anno di proiezione, per poi essere completamente rimossa, sebbene ormai entrata a far parte dell'immaginario pop collettivo. Nelle recenti versioni home video la scena è nuovamente stata reinserita.

VM18 nel 1933.

  Il genio visionario a cui si deve la realizzazione degli effetti speciali della pellicola è Willis O'Brien, il quale era già salito alla ribalta nel campo grazie all'eccellente lavoro svolto nel film Il mondo perduto otto anni prima. Cooper giunse alla RKO nel 1931, lo stesso anno in cui O'Brien stava lavorando a un suo progetto personale, un film dove un gruppo di marinai sbarca su un isola misteriosa sulla quale sopravvivono ancora animali preistorici. Il progetto, intitolato Creation, e di cui è sopravvissuto un corto di circa 20 minuti, fu chiuso poiché ritenuto troppo "debole", ma il lavoro eccezionale svolto sotto il versante effetti speciali convinse tutti delle capacità di O'Brien, che fu subito assegnato al nuovo progetto di Cooper su un enorme gorilla.
  Il burattino di Kong fu progettato da Marcel Delgado, il quale creò diversi modelli della creatura, ciascuno altro circa 45 centimetri, dotato di uno scheletro interno in metallo, gomma, avvolto nella schiuma e rivestito con pelo di coniglio. Ma per dare davvero "vita" a Kong, dei semplici modellini non sarebbero bastati. Delgado quindi creò anche la testa, il busto, una mano e un piede di Kong a dimensione naturale, ciascuno con uno scheletro d'acciaio e un rivestimento in pelle d'orso.
  Ancora più incredibile risulta il lavoro al pensiero che lo studio RKO nel 1933 si trovava in una condizione finanziaria molto delicata, il budget stanziato per il film è quindi ridotto all'osso e i due registi insieme ai responsabili del set e degli effetti speciali dovettero adottare estrema lungimiranza nel contenere i costi.

Scheletro di uno dei modllini usati nel film King Kong.

  I modellini del gorilla vennero usati principalmente per le sequenze in campo lungo e per le lotte con le altre creature, lasciando alle parti a grandezza naturale le sequenze di maggiore contatto con gli esseri umani, come quando Kong tiene Ann nel palmo della mano, o quando divora alcuni indigeni in preda alla furia.
  Il film, sopratutto durante le sequenze di Skull Island, fa ampio uso della recente, allora, tecnica dello retroproiezione, la quale consiste nel far recitare agli attori la propria parte davanti uno schermo semitrasparente, sul quale viene proiettata un immagine da dietro, creando una sovrapposizione di fasce che dovrebbero suggerire una profondità di campo inesistente (fatto che purtroppo è molto evidente in determinate scene) e consentire ad attori in carne ed ossa e creature animate di apparire contemporaneamente sullo schermo. Un esempio calzante è la scena dove il dinosauro aggredisce il povero marinaio salito sull'albero per nascondersi, o ancora la scena dove Driscoll e i suoi uccidono lo stegosauro.
  Un altra tecnica usata spesso nella pellicola è la proiezione miniaturizzata, che consente nel delineare una porzione di schermo, creando quindi una sorta di maschera che consente in fase di montaggio di sovrapporre due scene ben distinte rendendole uniche. Ma la tecnica non è esente da difetti e se ne può notare l'uso a causa dei contorni dei personaggi poco nitidi, di un illuminazione leggermente diversa o della stessa nitidezza del filmato.


  Ogni singola scena realizzata tramite Stop-motion desta ancora oggi piena meraviglia, considerando anche quanto il processo di animazione a passo uno, prima ancora dell'aiuto della computer grafica, fosse dispendioso in termini di tempi e denaro. Ogni singolo secondo della pellicola doveva contenere 24 fotogrammi delle creature animate a passo uno, fossero i dinosauri dell'isola o lo stesso Kong, ciascuno dei quali doveva contenere un impercettibile movimento delle figure, per un totale di 1440 fotogrammi per ogni minuto di film. Questo procedimento poteva richiedere decine e decine di ore per ricavare un solo minuto utilizzabile, sempre che non fossero insorti problemi che obbligassero gli animatori a lavorare tutto da capo.
  Per la prima volta nella storia del cinema, il mostro gigante viene rappresentato come un personaggio vero e proprio, un essere tridimensionale, che non esiste solo in funzione della sua natura distruttiva. Kong mostra rabbia, desiderio, tristezza, lo vediamo indugiare curioso su Ann, affascinato da quella piccola creatura così pallida, e addirittura "giocare" in modo quasi infantile con i cadaveri dei nemici uccisi, come farebbe un bambino con i suoi pupazzi. Indimenticabile il momento in cui, dopo aver ucciso il Tyrannosaurus Rex, afferra la sua testa e ne muove la mandibola come si farebbe con un giocattolo per far finta di farlo parlare.
  I nativi conoscono solo l'ira di Kong, una rabbia feroce che sembra spesso guidare ogni mossa del possente animale, nata forse anche da una forte solitudine (Kong è l'ultimo della sua specie), ma nell'iconica scena in cui Ann, legata al'altare dai nativi, vede giungere Kong dalla foresta, distruggendo ogni cosa e ruggendo ferocemente, accade qualcosa al primate. Nonostante la pochezza dei mezzi, l'enorme volto della creatura (animato da più di cinque persone) si blocca per un istante, i suoi occhi quasi s'illuminano alla vista di Ann, e lo spettatore può personalmente rendersi conto che qualcosa sta accadendo nella mente di Kong, l'incontro avrebbe cambiato la vita del mostro per sempre, e purtroppo, segnato la sua fine.

Che bello sguardo da marpione, eh?

  L'enorme successo di King Kong, che ha superato i 5 milioni di ricavi nel solo Nord America, risultato notevole in un periodo in cui un biglietto del cinema costava circa 20 centesimi, ha permesso di salvare la RKO dalla bancarotta, garantendo introiti costanti negli anni a venire grazie a continue riproposizioni nei cinema di tutto il paese.
  È innegabile che all'occhio di uno spettatore odierno la resa degli effetti speciali del film possa sembrare quasi una barzelletta. Ho visto con i miei occhi persone scoppiare a ridere quando Kong mostra il suo volto in primo piano, o scuotere la testa divertite quando i pupazzi a forma umana vengono mangiati o cadono in fondo a un burrone. Non posso convincere nessuno che gli effetti del film non siano invecchiati, è naturale che sia così, e fra cinquant'anni probabilmente molti film che oggi reputiamo graficamente spettacolari appariranno sciocchi e dilettanteschi agli occhi dei nostri nipoti quanto Kong appare grezzo e artigianale a noi. Ma è questo anche che lo rende speciale, fa parte del fascino d'epoca.
  Se solo si riuscisse a essere tutti un po' meno sempre pronti a criticare, e disposti a farsi trascinare da una storia, forse si riuscirebbe a cogliere un po' di quella magia che terrorizzò e sbalordì gli spettatori di quel lontano 1931, talmente coinvolti da quelle immagini fantastiche che spinsero i produttori del film a rimuovere una sequenza particolare, nel fondo di un burrone, poiché sembra fosse fin troppo realistica.


  La colonna sonora del film a opera di Max Steiner, per la sua importanza, viene considerata come uno dei parametri di riferimento di cui ogni pellicola successiva ha dovuto tenere conto. Prima di Kong gli accompagnamenti sonori erano spesso mera musica di sottofondo di accompagnamento alle immagini, ma per Kong Steiner compone dei temi appositamente per ogni singola scena, adattando la musica alle immagini per garantire la massima resa sonora.
  Questa cura nel dettaglio è palese durante la sequenza d'incontro con il capo indigeno, in cui ogni suo passo verso gli intrusi della cerimonia viene sottolineato dalle percussioni che ne enfatizzano la gravità e fanno sembrare la musica un guanto, che calza a pennello con ogni avvenimento o sentimento che anima la scena.
  Fin alle prime note di apertura, è palese la natura epica che Steiner ha voluto infondere nella colonna sonora, il film non intende negare la sua natura "megalitica" in nessun aspetto, e se questo genere di approccio oggi può sembrare un po' troppo datato o pesante, esso ben si adatta alla natura della pellicola e ne costituisce comunque parte del suo fascino.
  King Kong resta tutt'oggi un titolo estremamente godibile, se si è capaci di lasciarsi prendere dalla vicenda e tornare un po' bambini dentro. La sua importanza storica è pressoché indiscutibile, ma resta stupefacente notare come, con tutti i suoi limiti, tecnici e propri della sua epoca, sia invecchiato sia così male, che così bene allo stesso tempo. Un film che meriterebbe un posto in prima serata quasi ogni anno, per consentire a chiunque di poterlo vedere, di ammirarne tutto l'amore artigiano che vi è stato posto, e far sognare ogni bambino che ancora non sia stato accecato dalla strada a senso unico del "sempre di più" che il cinema e la grafica odierna paiono aver intrapreso a occhi bendati.

Voto Film:

Voto Retrò:

Trailer


TRIVIA
- L'aereoplano che infligge il colpo di grazia a Kong, è guidato proprio da Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack.

- La scena di Kong che spoglia Ann non fu l'unica rimossa dalla pellicola. In seguito alla caduta dei marinai dal tronco posto sul burrone, i sopravvissuti sul fondo melmoso dell'isola vengono aggrediti da una lucertola, un polpo, un granchio e un ragno di enormi dimensioni. Cooper in persona tolse questa scena dalla pellicola finale in quanto eccessivamente disturbante. Si tratta a tutti gli effetti di una sequenza entrata quasi nella leggenda, poiché ne sono sopravvissute solo alcune fotografie, e nessuno, se non la troupe del film e, pare, gli spettatori dell'anteprima del film, potettero vederla.
Peter Jackson, da amante del King Kong originale, ha deciso di omaggiare quella scena reinserendone una proprio interpretazione nel suo film.

 Una delle poche immagini sopravvissute della scena incriminata