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giovedì 12 dicembre 2019

Paradise Beach - Dentro l'incubo - Recensione

Paradise Beach locandina

Title: The Shallows
Paese: Stati Uniti
Anno: 2016
Durata: 87 minuti
Regia: Jaume Collet-Serra
Attori: Blake Livey, Oscar Jaenada, Brett Cullen, Sedona Legge.

  Nancy Adams (Blake Lively), studentessa di medicina americana con la passione per il surf, in seguito alla morte della madre, deceduta a causa del cancro, abbandona gli studi di medicina per intraprendere un viaggio di fuga dalla sua vita verso il Messico. Con l'aiuto di un abitante del posto di nome Carlos (Oscar Jaenada), Nancy riesce a rintracciare una piccola insenatura incontaminata, un paradiso dalla spiaggia bianca e dall'acqua cristallina, nel quale, molti anni prima, la madre stessa si era recata per surfare quando era incinta di lei.
  Sul luogo incontra altri due giovani surfisti intenti a cavalcare le onde. I tre legano presto e trascorrono la giornata sfidando il mare. Al calar della sera, mentre i due tornano a riva, Nancy innervosita da una chiamata del padre, il quale la esortava di smetterla di scappare e tornare alla sua solita vita, decide di fare un ultimo giro.

Paradise Beach Blake Lively
"Ma poi alla fine si è scoperto chi era Gossip Girl? Signorina? Parlo con lei."

  Dopo aver domato un paio di cavalloni, scorge una grossa forma insolita circondata da gabbiani, che probabilmente è stata trainata dalla corrente dentro l'insenatura. Avvicinatasi, riesce a distinguere la carcassa di una balena dilaniata da numerosi segni di morsi di grandi dimensioni. Prima che possa allontanarsi per tornare a riva, Nancy viene aggredita da un grande squalo bianco, che le lascia un enorme squarcio lungo la coscia.
  Grazie a un notevole scoppio di adrenalina, Nancy si inerpica in cima alla carcassa di balena per sfuggire allo squalo, afferrando e facendo presa sui lembi di carne strappati al povero animale)
  Con un ultimo sforzo la ragazza si getta in acqua e riesce a raggiungere un piccolo scoglio isolato non lontano dalla carcassa, sul quale trova rifugio assieme a un gabbiano dall'ala lussata. Abbarbicata su quel sottile lembo di roccia, il quale quasi scompare sott'acqua durante l'alta marea, Nancy fa buon uso delle conoscenze ottenute durante i suoi studi per praticarsi un intervento d'emergenza alla gamba, grazie al quale riesce a fermare la perdita di sangue.

Paradise Beach The Shallows

  La notte passa inesorabile, con i primi morsi della fame e della sete che si fanno sentire, e la sola compagnia di un gabbiano dall'ala spezzata, il quale diventerà il compagno di "prigionia" di Nancy. Lo squalo decide di prendere molto a male la presenza di intrusi in quello che sembra essere diventato il suo nuovo territorio. All'alba, Nancy scorge un uomo steso sulla spiaggia e inizia a urlare e sbracciarsi dallo scoglio nel tentativo di attirare la sua attenzione.
  L'uomo, visibilmente ubriaco, si accorge della ragazza, ma, ignorando le sue grida di aiuto, si dirige verso la sua borsa contenente portafogli e cellulare di lei. Preso il bottino, l’uomo fa per andarsene, quando si accorge della tavola da surf di Nancy ancora in acqua e siccome l'occasione fa l'uomo ladro, entra in mare per prenderla. Inutili si rivelano gli avvertimenti di Nancy a non farlo: lo squalo raggiunge l'uomo prima ancora che lui possa avvicinarsi alla tavola, tagliandolo in due parti.

Paradise Beach Balena

  Quando Nancy comprende che non c'è speranza che qualcuno passi di lì per poter chiamare aiuto, prima che le sue forze si esauriscano del tutto e che il principio di cancrena alla gamba si aggravi,decide di rischiare il tutto per tutto. Lasciato un messaggio alla sua famiglia, in cui spiega la situazione in cui si è trovata, e chiede scusa per gli ultimi anni in cui è stata assente e per aver abbandonato il corso di studi, dichiara la sua intenzione di raggiungere una boa di segnalazione per avere una minima chance di sopravvivenza. Dopo aver trovato un diversivo per sfuggire alla morsa dello squalo, che con il salire dell'alta marea stringe sempre più il suo cappio attorno allo scoglio, Nancy si getta in acqua per giocarsi l'ultima carta che le è rimasta, iniziando così una lotta all'ultimo sangue fra l'uomo e uno dei predatori più pericolosi del pianeta.

  Paradise Beach è un'avvincente riproposizione classica di genere, che porta la lotta fra uomo e squalo in ambito survivalista e lo eleva al di sopra della media grazie a una regia particolare, quasi d'autore. In un periodo storico in cui l'eco-revenge cinematografico, dopo l'esplosione causata da Spielberg col suo Lo Squalo, sembra aver ormai esaurito tutto ciò che poteva dire, relegandosi comodamente nella sua nicchia direct-to-video, con titoli che sembrano giocare a rincorrersi con la loro onnipresente mediocrità e povertà d'idee, il qui presente attendeva da tempo che qualche regista con un minimo di aspirazione dimostrasse quanto ciò fosse sbagliato.

Paradise Beach Baia

  Una giovane donna, finita per sbaglio nel territorio di un animale feroce, è ora assediata da quest'ultimo, con una ferocia e una tenacia a tratti anche eccessiva, ma, fino alle sequenze finali, mai irrealistica. Su questo semplicissimo plot narrativo, regista e sceneggiatore imbastiscono la più antica di tutte le storie, quella che parla a ognuno di noi poiché insita nel nostro DNA: la lotta per la sopravvivenza.
  La giovane protagonista, Nancy Adams, per quanto bella e di buona famiglia potesse essere, si ritrova sbattuta all'improvviso in un contesto a lei completamente alieno, quasi primordiale, che dapprima la distruggerà trascinandola passo dopo passo sull'orlo della morte, fino a quando non troverà in lei quella forza nascosta che ci impone di lottare ad ogni costo, strappando il nostro diritto a vivere con le unghie e con i denti.
  La sceneggiatura fin da subito ci mostra, con diretta onestà, tutti gli elementi attorno a cui si svolgeranno gli eventi. La carcassa di balena nei cui paraggi nuota lo squalo, una boa di segnalazione e un misero scoglio, appena uno sputo di roccia che durante l'alta marea quasi scompare sotto la superficie del mare. La spiaggia è un elemento onnipresente, una chiara visione di salvezza, vicina, ma irraggiungibile senza finire nelle fauci dello squalo, consapevolezza che la trasforma lentamente da simbolo di speranza in qualcosa di beffardo. L'intera vicenda si svolgerà quindi all'interno del triangolo posto al centro della baia, riuscendo a restituire un'atmosfera quasi claustrofobica pur in un ambiente completamente aperto.

Paradise Blake Lively Steven Seagull

  Lo spagnolo Jaume Collet-Serra si riconferma come un buon regista action, perfettamente capace di gestire una pellicola non semplice, e non privo di un certo senso artistico. Il soggetto del film prevedeva numerose sfide; singola location, singolo protagonista, necessità di mantenere costante la tensione dovendo giocare con pochissimi elementi, che verranno quindi spremuti fino al loro massimo.
  Deciso a rappresentare l'evidente dualismo insito nella natura incontaminata, tanto bella quanto spesso letale per l'uomo, Collet-Serra ci mostra, grazie all'eccellente lavoro del responsabile della fotografia Flavio Labiano, dapprima la superficie di quel paradiso tropicale mediante una fotografia luminosa, aperta, con ampie riprese panoramiche e visuali dall'alto del gruppo di surfisti che quasi ricorda alcuni videoclip estivi, o una lunga pubblicità di qualche resort in Messico. Quando poi il pericolo diventa palpabile e presente, qualcosa si spezza nella paradisiaca visione superficiale di quel mondo, l'ambiente appare più freddo, ostile, fino alle sequenze finali dove Nancy affronta la morte faccia a facciae sotto una fitta cappa di nubi tutto sembra divenire oscuro, grigio. 
  Si gioca con una certa libertà sull'uso di determinati filtri cromatici, ricercando una precisa sovrapposizione fra ciò che accade a schermo e la rappresentazione ambientale.

Paradise Squalo

  L'uso di costanti sovrapposizioni a schermo delle schermate del cellulare e dell'orologio di Nancy ci permettono di staccare, seppure di poco, dal fisico onnipresente della Lively che domina quasi tutta la pellicola. Queste piccole finezze stilistiche non sono fini a se stesse: le foto di Nancy e la videochiamata con la sorella più piccola ci forniscono quel sottotesto narrativo che vedrà lo squalo diventare qualcosa di più di un semplice predatore. L'orologio diviene elemento indispensabile per una precisa fruizione temporale degli eventi, contribuendo al crescere della tensione man mano che l'alta marea sopraggiunge; il cronometro, infine, ci consente di scandire i secondi che lo squalo impiega per nuotare dalla carcassa fino allo scoglio, la brevissima finestra temporale concessa a Nancy per compiere qualsiasi azione.
  La colonna sonora, a opera di Marco Beltrami, compositore di un certo peso che ha collaborato a titoli come Scream, Hellboy, Die Hard, l'eccellente (sotto il profilo del sound design e non solo) A Quiet Place, impreziosisce l'ottima fotografia con una sapiente contrapposizione di musiche e silenzio, rotto solo dall'incessante scrosciare del mare, il tutto coadiuvato da un'ottima gestione del suono, essenziale per un film che deve spingere in ogni modo lo spettatore a interfacciarsi con la protagonista, e percepirne l'angoscia, la solitudine, il dolore.
  Beltrami, ti ho quasi perdonato per aver lavorato a Fantastic 4 di Trank. Quasi.

Paradise Squalo

  Dopo anni trascorsi nella serie Gossip Girl che l'ha portata alla fama, e parti più o meno riuscite in vari film, Blake Lively si cimenta in qualcosa di decisamente più impegnativo del suo solito. L'intero peso della narrazione pesa sulle sue spalle, e, contro ogni mia previsione, il risultato è migliore delle, seppur basse, aspettative.
  Quando Collet-Serra non inquadra solo il culo o le cosce di Blake, l'espressività dell'attrice risulta convincente, il terrore e l'angoscia che traspaiono dal suo volto durante tutta la seconda metà del film sono ben rese. Non è mai semplice gestire, quasi da sola, un'ora e venti di minutaggio, e quando il risultato convince, senza mai stuccare, rappresenta una buona prova attoriale.
  La caratterizzazione di Nancy è piuttosto mirata: non sappiamo niente di lei se non il minimo background necessario a comprenderne le azioni e a fornirci una chiave di lettura del film che vada oltre la semplice sopravvivenza. È una ragazza sveglia, atletica, una studentessa di medicina, abituata probabilmente a lavorare in un pronto soccorso, non ci sembra quindi troppo strano che sia capace di mantenere la calma e riflettere anche sotto stress e in circostanze sfibranti, né che abbia l'energia e l'agilità fisica per tentare qualcosa che non sia il semplice lasciarsi morire di fame e sete.

Paradise Blake Lively Seagull Steven
Una grande prova attoriale: la capacità comunicativa, lo sforzo che traspare da ogni sua azione, 
il dolore che leggiamo sul suo viso... e anche la Lively non ha recitato male.

  Paradise Beach è una gigantesca parabola di sofferenza fisica e mentale. Nancy viene costantemente vessata dalla sorte, sottoposta a una prova che schiaccerebbe molti, costretta, evento dopo evento di cui non parlerò, a vedere le sue speranze frantumarsi una dopo l'altra.
  Il film non è improntato direttamente sullo scontro fra l'uomo e la natura, né sui temi della vendetta o della punizione divina tanto comuni in questo genere. Si tratta come già detto di una storia di sopravvivenza, una brutale rappresentazione di dolore e paura da parte della protagonista, che il regista ci sbatte in faccia senza nessun riguardo, enfatizzando con crudezza ogni aspetto negativo.
Oltre la sofferenza, i temi portati in scena sono quelli della morte e della solitudine.
  La morte rappresenta una compagna di viaggio per Nancy. È la morte della madre che l'ha spinta a fuggire, ad abbandonare gli studi perché "non tutti possono essere aiutati"; e sempre la morte l'ha spinta a recarsi su quella spiaggia in particolare, alla ricerca di un ultimo legame con chi non c'è più.
  La solitudine è l'altro tema portante del film: si è soli contro le avversità della vita, si è soli nel momento del bisogno, e, sopratutto, si è soli contro e nella morte. L'uso di primi piani e di campi lunghi sull'orizzonte fonde la vastità dell'ambiente naturale con il dilemma intimo della protagonista, enfatizzando il suo essere sola e abbandonata nel bel mezzo del mare aperto. Le prospettive sulla baia sono tutte di ampio respiro, pensate chiaramente per mostrare la vastità della natura nei confronti dell'uomo, che diventa piccolo e insignificante al confronto.

Paradise Blake Lively Squalo

  La figura dello squalo, pur restando un animale sia nell'aspetto che nel comportamento per quasi tutta la durata del film ad eccezione del finale, viene quindi inevitabilmente a sovrapporsi con il dramma interiore di Nancy, che si trova ad affrontare la minaccia della morte come sua madre prima di lei. Fin da subito il grande squalo bianco si presenta come una sfida troppo grande per lei, che non può fare altro che fuggire, tenere la morte a distanza quanto più possibile, come è probabilmente avvenuto per la madre, durante la lunga degenza del cancro, fino alla fine in cui lo scontro diviene inevitabile.
  Man mano che il film si avvicina al finale, Collet-Serra compie una scelta curiosa, ribaltando tutto ciò che ci ha mostrato fino a quel punto. Il sottile gioco di tensione e ansia che ha caratterizzato l'intera parte centrale viene spazzato via da una decisa virata verso l'action, che ho personalmente trovato eccessiva e di dubbio gusto, dovendo proprio trovare un difetto al film. Nell'esatto momento in cui Nancy sceglie di lottare fino all'ultimo, di non lasciarsi andare, lo squalo cessa di essere una minaccia sommersa, presente ma sottile, e diviene molto più feroce, aggressivo, focalizzato nell'uccidere la giovane donna. Affrontare la morte faccia a faccia, invece che evitarla il più possibile, è un'esperienza molto più spaventosa e la mutazione nel comportamento dello squalo ne incarna ogni aspetto, portando lo scontro su un nuovo livello più fisico oltre che psicologico.
  Il film si presenta in definitiva come un ottimo prodotto d'intrattenimento e un perfetto esercizio di stile sotto l'aspetto della fotografia. Lontanissimo dai soliti film di genere, rigetta quasi completamente ogni elemento legato al jumpscare facile e al gore (quest'ultimo comunque presente in un paio di scene, suppongo dovute per soddisfare la facile sete di sangue di un certo tipo di pubblico, a cui comunque questo film non si rivolge esplicitamente), ponendo l'intera struttura del film su una tensione in crescita costante, quasi asfissiante se non fosse per alcune brevi momenti di tranquillità che comunque rallentano solo questa escalation senza mai ridurla.

Paradise Beach Squalo
Ci serve una boa più grande...

  Gli effetti speciali sono di buona fattura. Lo squalo appare raramente per intero nel film, ma a esclusione di un paio di primi piani risulta abbastanza credibile, pur essendo costruito interamente in computer grafica. Sul versante della realizzazione tecnica si può giusto porre l'accento sul cadavere della balena, ben realizzato ma in determinate sequenze rivela fin troppo la sua natura plasticosa.
  Qualche forzatura si nota all'interno della sceneggiatura, sopratutto nella seconda metà, quando ci si chiede quante complicazioni o sfortune possano capitare tutte di fila nell'arco di un paio di giorni, prima che la nostra sospensione d'incredulità inizi a vacillare. Ma nessuna delle domande che possiamo porci riguardo determinati aspetti del film riesce a intaccarne l'ottima messa in scena.
  Dopo anni e anni di shark movie indegni, ricolmi di ogni oscenità, di squali polpi, squali a due, tre, sette teste, squali robot, o tornadi di squali, anni in cui il genere sembrava non poter più risollevarsi dalla cloaca in cui era sprofondato, capace solo, se si era fortunati, di offrire un film trash divertente da vedere fra una mediocrità e l'altra, Paradise Beach porta nuova dignità al filone, mostrando come si possa ancora produrre un film su uno squalo che non sia un plagio di Spielberg o una stronzata in stile Asylum. Sono andato personalmente al cinema a vederlo con aspettative bassissime, dati i numerosi precedenti, e ne sono uscito commosso.
  Un film da prima serata senza dubbio, ma che ha il grosso difetto, dato l'onnipresente impiego di panoramiche, di rendere purtroppo molto meno su una tv domestica di quanto non faccia sul grande schermo.
  Assolutamente consigliato.

Voto Film:

Trailer:


TRIVIA
- Sebbene il film sia ambientato in Messico, la location scelta per girare era l'Isola di Lord Howe nel Queensland Australiano.

- Blake Lively ha rivelato in un’ intervista che lei è terrorizzata dagli squali, nella vita reale, e difatti non ha mai visto Lo Squalo.

- Durante la permanenza forzata sullo scoglio, Nancy riesce a schiacciare un granchio che tenta poi di mangiare così com'è, con l'ovvio risultato di vomitare il tutto. La scena in cui il granchio viene ucciso è stata riprodotta in CGI, ma il granchio mangiato dalla Lively era reale: JaumeCollet-Serra ha affermato che nessun animale è stato ucciso durante la registrazione del film, ma che quel giorno mandò alcuni uomini della troupe alla ricerca di granchi morti sulla spiaggia trovandone un paio, che ha poi generosamente offerto alla sua attrice. La reazione di disgusto della Lively con rigetto era quindi reale, forse dovuta anche al fatto che (due Trivia in uno!) l'attrice era incinta del suo secondo figlio durante le riprese.

- Gran parte del film è stato girato in una gigantesca piscina mediante l'uso di greenscreen, com'è solito per i film ambientati in mare. Collet-Serra per rendere più credibile possibile la vicenda, e ingannare meglio lo spettatore, ha girato circa il 10% del film in ambienti reali. In un'intervista il regista spiega che "Ogni scena ha uno scatto reale, e i restanti 99% no. Ma è quello reale che ti inganna".

- Durante le sequenze finali Nancy sbatte il viso contro la boa causandole una fuoriuscita di sangue dal naso. Sia l'incidente, che la reazione della Lively erano assolutamente autentici. L'attrice ha sbattuto accidentalmente durante la scena, e la sequenza è entrata nel taglio finale del film.

- Lo squalo è stato realizzato interamente attraverso l'uso della CGI. Una scelta insolita per Collet-Serra, che solitamente nei suoi film preferisce gli effetti più "fisici" a quelli digitali.

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